Black audio speaker shattered, stereo equipment in wide angle
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Il dimensionamento dei diffusori nei confronti della potenza erogata dall’amplificatore

L’obiettivo che mi pongo è quello di chiarire quale possa essere il miglior dimensionamento di un diffusore nei confronti della potenza dichiarata di un amplificatore, sfatando alcuni miti e cercando di fare un pò di chiarezza che possa aiutare l’appassionato a scegliere in modo consapevole.

Cominciamo dai dati dichiarati

Un comune amplificatore in Classe AB ha un’efficienza attorno al 60%-70%: il resto dell’energia viene dissipata a vario titolo. Allora come è possibile che un moderno amplificatore – e solo per fare un esempio – che dichiara 350 watt a canale, assorbe poi dalla rete 850 watt massimi? Facciamo due conti: 350 watt per 2 canali sono 700 watt, con il 60% di efficienza sono 980 watt assorbiti, senza dubbio molto dissimili dagli 850 watt dichiarati. E allora dov’è la truffa, aggravata anche dal fatto che un amplificatore ha anche numerosi circuiti, tra preamplificazione e servizi, che consumano ulteriore energia? Non siamo certo tornati agli anni ’80, quando impazzava il Car Audio, e quando si dichiaravano potenze incredibili per apparati, non solo lillipuziani in rapporto alle potenze dichiarate, ma soprattutto alimentati a 12 volt senza alcun circuito di surdevoltaggio (step-up della tensione di alimentazione).

Un vecchio booster/equalizzatore di inizio anni '90 che dichiarava potenze esorbitanti ma senza poterselo permettere

In realtà, ogni sezione di potenza di quelle 2 citate nell’esempio sono in grado di erogare 350 watt, in rapporto alla tensione fornita dal circuito di alimentazione dell’ampli, ma non possono semplicemente farlo all’unisono. Il concetto, passatemi l’espressione è “sano”, nel senso che è impossibile che ci sia una richiesta di energia identica – per 350 watt – per tutti e 2 i canali. Ciò che diventa importante in questi frangenti è disporre di condensatori di filtraggio ben dimensionati, che fungano sempre da riserva energetica pronta e disponibile in ogni condizione, tanto da fare fronte a richieste di assorbimento continue, senza dubbio più pressanti di quanto non possa essere con un normale amplificatore stereofonico. Proviamo a capire – accademicamente – quale possa essere la potenza reale continua su tutti e 2 i canali dell’amplificatore. 850 watt di assorbimento, togliamo un 40% di dissipazione varia e siamo a 510 watt che, diviso 2, non raggiungono 255W continui. Questo, però, non è il dato da tenere a mente per dimensionare le casse acustiche da collegare all’amplificatore. Gli stadi finali e l’alimentazione sono dimensionati – di solito – per erogare la potenza dichiarata, alla distorsione specificata. Non è “barare” sulla potenza di uscita, bensì dimensionare in modo più che ampio l’amplificatore, che riuscirà simultaneamente ad erogare circa 255W a canale! Se poi ci saranno delle richieste energetiche particolari ci sono i condensatori di filtro a venire in soccorso dell’alimentazione, essendo dei serbatoi che si scaricano impulsivamente facendo comunque erogare alla macchina i watt massimi dichiarati per pochi istanti. Chi “bara”, e questo si fa sovente nei prodotti di basso costo o nel mondo dell’Home Theater, lo fa – smaccatamente – dichiarando i dati della potenza su 6 ohm, sicuramente più alta di quella su 8 ohm comunemente utilizzati. 100 Watt su 6 ohm sono più o meno 70 su 8 ohm nella migliore delle ipotesi. Tutto questo per dire che, basta guardare la potenza dichiarata per ogni canale dal costruttore, sommarla, e vedere l’assorbimento massimo dell’amplificatore per capire il dimensionamento “reale” di quella macchina.

Qualche esempio eccellente

Lo Yamaha A-S3200 dichiara 100W a canale su 8 ohm, un assorbimento di 350W e 700W massimi, con un trasformatore di alimentazione di 625VA. Siamo quindi di fronte a specifiche ESTREMAMENTE conservative, che ci fanno capire quanto gli ingegneri giapponesi si siano tenuti stretti, a garanzia che la potenza erogata sia effettivamente di 100W per canale, e di tutti e due i canali contemporaneamente. E questo all’ascolto si avverte, ed è del resto per questo che una delle cose che nei prodotti di livello assoluto si cura di più è proprio l’alimentazione. Prima di tutto come dimensionamento. Un altro fulgido esempio è il “vecchio” PMA-SA1 di Denon, da “soli” 50+50 W su 8 ohm, ma con un assorbimento di 230W. Se guardate le foto degli interni di entrambe i prodotti vi accorgete delle dotazioni in quanto a trasformatori e condensatori di filtro, che fanno immediatamente presagire che l’aggettivo “surdimensionato” è riduttivo.

Il dimensionamento del diffusore, troppi miti e poche certezze

Veniamo al dimensionamento dei diffusori e a sfatare alcuni miti. Per fare questo dobbiamo brevemente parlare di distorsione e dei suoi deleteri effetti. Quando un amplificatore da 10 watt trova al suo ingresso un picco musicale che lo costringe a erogare una potenza maggiore della sua massima esso, non potendo fare altro, erogherà per il tempo del picco, in regime continuo, solo i 10 W di cui è capace. Questo tempo non durerà solo l’attimo del picco musicale, ma tanto quanto il tempo di salita e discesa dell’onda di quel picco, che è un tempo notevolmente superiore al picco stesso, si chiama “tosatura” (fate riferimento alla Fig. 1 per maggiore chiarezza)

Fig.1. In verde il segnale in ingresso, in rosso quello in uscita visibilmente distorto. Le linee rette rosse corrispondono a una erogazione continua dell'amplificatore, che mette a dura prova gli altoparlanti (Cortesy Vincenzo Villa)

Abbiamo quindi sottoposto il diffusore e l’altoparlante ad un segnale continuo per un tempo sicuramente molto più lungo di quanto fosse in realtà richiesto dal picco. E’ molto importante capire questo concetto. Un amplificatore da 50 watt avrebbe gestito quel picco senza alcuna incertezza, esponendo l’altoparlante solo per un attimo a quella potenza, mentre un amplificatore meno potente – dovendo affrontare una condizione di pilotaggio che va oltre i propri limiti – dà quel che può, fin dove può, erogando al diffusore una potenza inferiore, ma per un tempo maggiore. In quel momento l’ascoltatore avvertirà una forte sensazione di compressione dinamica, non dovuta al limite meccanico dell’altoparlante, bensì a quello elettrico dell’amplificatore. Questa energia “sprecata” può causare agli altoparlanti danni di vario tipo. Il filo di rame della bobina mobile, motore degli altoparlanti, è di sezione variabile secondo le frequenze trattate dal trasduttore. Quella del woofer è la più grande, a volte di sezione rettangolare; quelle del midrange quando presente nei modelli con più di due vie e del tweeter sono conseguentemente di minore sezione, in Fig. 2 la bobina mobile di un tweeter.

Fig. 2. La bobina mobile di un tweeter adotta un filo di rate estremamente sottile, meno di un capello (Cortesy Thomann.de)

In un’ipotetica ripartizione energetica, se al woofer vanno 100 watt, al midrange ne vanno 40, al tweeter 15 o meno. I danni di origine elettrica causati agli altoparlanti sono, in genere, di due tipi: un primo riguarda l’interruzione della bobina mobile, con conseguente silenziamento del componente (detto anche “effetto fusibile”). Il secondo è definito gergalmente “frittura” (Fig.3), con la vernice isolante attorno al rame “cotta” dall’alta temperatura raggiunta dal conduttore metallico nel momento del sovraccarico elettrico che – ingrossando la bobina – crea uno sfregamento chiaramente udibile, anche se l’altoparlante – è proprio il caso di dirlo – sta ancora “gracchiando” ma a volte grippa letteralmente come se fosse un pistone nella camicia del cilindro ma senza olio. Il primo fenomeno è più comune nei tweeter (caratterizzati da un’esigua sezione del filo elettrico), il secondo nei midrange e woofer.

Fig 3. La bobina mobile di un Woofer cotta per una eccessiva esposizione ad elevata potenza. In questo caso oltre ad una interruzione elettrica si verifica un inspessimento che causa il grippaggio dell'altoparlante. (Cortesy of Elliot Sound Product)

Di solito, un altoparlante “muto” non ha solo l’avvolgimento della bobina mobile interrotto, ma è stato anche soggetto a “frittura”, considerato che la potenza elevata per un tempo eccessivamente lungo crea prima lo scioglimento dell’isolante, e poi l’interruzione dell’avvolgimento stesso. Questi fenomeni sono assolutamente dipendenti dalla durata temporale (e ovviamente dalla potenza impulsiva data da tensione x corrente), alla quale la bobina mobile è sottoposta, con relativo stress elettrico e meccanico. Un picco non distorto, molto potente e di brevissima durata, un “burst” (un impulso singolo) non crea di norma danni, mentre un picco in fase di “clipping”, quindi distorto, seppur di minore potenza, ma più prolungato nel tempo, ha alte probabilità di creare danni perché fa aumentare esponenzialmente la temperatura della bobina che in mancanza di escursione dell’altoparlante non riesce neanche a ventilare. La velocità dell’impulso indistorto, invece, non dà tempo alla bobina mobile di surriscaldarsi producendo l’”effetto fusibile” (Fig 4);

Fig 4. La bobina mobile di un tweeter bruciata per un eccessiva applicazione di potenza che ne ha causato l'interruzione, ma non la sua "cottura" se non in una porzione molto limitata dell'avvolgimento

all’immediato cessare dell’impulso stesso il movimento della bobina e la conseguente aerazione permettono di smaltire il calore generato. Un impulso prolungato nel tempo invece “frigge” molto più facilmente la bobina mobile, creando un effetto “valanga”. La bobina si inchioda, il rapporto di forza tra il campo magnetico generato e quello permanente del magnete cambia ed arriva l’”effetto fusibile” a bruciare irrimediabilmente l’altoparlante. La cosa migliore è quella di basarsi, per una valutazione più realistica del componente preso in analisi, sulla potenza dichiarata RMS dal costruttore. Se fornita con un valore di 6 ohm, la potenza andrà “decurtata” di un 30% per ottenere il valore attendibile su un carico di 8 ohm. Una volta ottenuto questo dato, ci si può ragionevolmente basare su una “equipollenza” dei valori: a un diffusore con impedenza di 8 ohm in grado di accogliere 100 watt RMS, possiamo associare un amplificatore dichiarato per 100 watt RMS sul medesimo valore di resistenza. Tutto questo ragionamento sottintende anche il seguente assunto: e’ molto più probabile che un amplificatore di piccola potenza bruci la bobina mobile di un grande altoparlante piuttosto che il contrario. Le cause di ciò dovrebbero adesso essere chiare. Un amplificatore di bassa potenza distorce molto più facilmente di uno ad alta. Va anche tenuto conto che una cassa dichiarata per accettare 100 watt RMS, è sicuramente in grado di sopportarne 200 seppur per brevi periodi. L’importante è che non ci siano fenomeni di distorsione in atto. Lo stesso diffusore, esposto a un segnale distorto generato da un amplificatore da 20 watt, potrebbe invece subire danni. Non abbiate quindi mai timore nell’accoppiare potenti amplificatori a diffusori di dimensioni contenute, nominalmente più delicate. E’, infatti, più difficile sfruttare fino alla distorsione un amplificatore di grande potenza, piuttosto che uno di minore prestanza energetica, con il quale può capitare – con una certa facilità – di superare ore “12” con la manopola del volume, con il rischio di incorrere – più facilmente – in distorsioni e potenziali danni agli altoparlanti.

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